Omelia alla Celebrazione delle esequie del prof. Felice Maurizio D’Ettore

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Carissimi, ci raggiunge e scuote il nostro cuore quella domanda stupita, quasi incredula, che Gesù mette sulla bocca dei «giusti» nel cosiddetto Giudizio Finale (Mt 25, 31-46): «Signore, quando mai ti abbiamo visto carcerato?…». Scuote il nostro cuore di commozione e gratitudine, per la vita del carissimo Felice Maurizio D’Ettore, mentre un dolore profondo ci affligge per la sua morte prematura, improvvisa, che ha interrotto bruscamente l’esistenza di un uomo brillante, buono, intelligente e capace. Un uomo che, per così dire, riusciva a riempire la vita di chi gli stava accanto: anzitutto della famiglia – la cara moglie, le figlie, la sua carissima mamma… – e poi dei tanti amici e colleghi, di coloro che avevano modo di incontrarlo per motivi professionali e istituzionali. Me ne sono reso conto personalmente, avendo avuto, poco tempo fa, il privilegio di conoscerlo, sebbene per poco tempo.
Un uomo speciale, al quale, nel tempo, sono stati affidati incarichi di notevole rilevanza culturale e accademica, sociale e politica; grandi responsabilità e missioni prestigiose e faticose per il nostro Paese, fino al delicatissimo compito di Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, che ne ha quasi compendiato l’opera, segnandola con un particolare impegno verso il mondo complesso dei detenuti. Compito che, in un tempo relativamente breve, ha fatto ulteriormente conoscere la mente, il cuore e – direi – l’animo di Felice Maurizio, che la Parola di Dio ci aiuta a penetrare, consentendoci di rileggere la sua vita come dono.
Dono per tanti, oltre che per i suoi cari: come interpretare diversamente gli innumerevoli attestati di stima, di affetto, di ammirazione che continuano a giungere da vertici dello Stato e da personalità politiche anche di orientamenti diversi, come pure da colleghi e collaboratori che, non di rado, lo definiscono anzitutto un «amico»?
Dono per i poveri, per gli ultimi; per i «fratelli più piccoli», come li chiama Gesù nel Vangelo, annoverando tra essi anche i carcerati: «Ogni volta che avrete fatto questo a uno solo dei miei fratelli più piccoli lo avete fatto a me».
Ogni volta che avrete «fatto». Un verbo significativo in greco (poièo), perché non si limita a un attivismo affannato ma si riferisce alla grandezza delle opere, nelle quali ciascuno infonde la propria originalità, in relazione al ruolo e alla vocazione personale.
Felice Maurizio D’Ettore ha «fatto» tante cose, ha rivestito i ruoli diversi di docente universitario e politico, amministratore e uomo di giustizia; ha portati avanti la propria vocazione infondendo nelle opere la competenza, frutto di intenso studio ed esperienza, nonché la sua stessa creatività. E il verbo fare, nella Bibbia, è usato anche per descrivere la Creazione di Dio, alla quale partecipa chiunque operi per la giustizia, la pace, la fraternità, il bene comune, contribuendo a edificare un mondo migliore.
Le opere a cui Felice Maurizio ha contribuito sono state specchio della sua dedizione entusiasta e infaticabile e dei valori sui quali egli ha inteso costruire la propria esistenza, diventando punto di riferimento in ambito pubblico e istituzionale, non solo per le indubbie capacità ma anche per la sua integrità morale. Tutto questo, negli ultimi anni, gli ha permesso di richiamare l’attenzione sulla situazione delle carceri, evidenziando problemi più volte sollevati da Papa Francesco o dal Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella: penso, ad esempio, al sovraffollamento con le conseguenti complicazioni igienico-sanitarie, le prevaricazioni e le violenze, la sicurezza e l’isolamento, i drammi delle dipendenze e dei suicidi… Problemi messi in luce non per polemizzare ma per renderli condivisi da parte di tutta la comunità civile, cercando insieme soluzioni possibili e concrete, con coraggio e fede.
Perché le opere di Felice Maurizio sono state pure la concretizzazione della sua fede cristiana; senza tale riferimento non si potrebbe capire molto di lui e del suo servizio, fatto per Cristo e a Cristo, anche quando forse non se ne rendeva conto. «Signore, quando mai ti abbiamo visto in carcere e siamo venuti a visitarti?»: è la domanda dei giusti, come egli è stato.
Ho detto servizio e non a caso. C’è infatti un’altra domanda che il Vangelo propone, quella di coloro che saranno alla sinistra del Padre, in quanto non hanno agito secondo la Sua volontà: «Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito?». Il verbo assistere in greco indica il «servire» (diachoné).
Per il cristiano, fare non è agire per protagonismo o ricerca della realizzazione personale. Fare è servire; è mettere al di sopra di tutto la carità.
Lo spirito di servizio che ha animato Felice Maurizio rimane un profondo insegnamento: per i familiari e i suoi cari, per i tanti allievi e collaboratori che nel tempo lo hanno affiancato, nonché per gli uomini e le donne delle Istituzioni. Uno spirito respirato dalla famiglia di origine e dalle tradizioni di questa terra di Calabria, che non gli ha dato anagraficamente i natali ma che egli sempre ha sentito madre, rimanendovi legatissimo nei diversi spostamenti, e che oggi ne accoglie provvidenzialmente l’ultimo respiro.
Egli è rimasto un “figlio del Sud” e ha saputo vivere uno stile di servizio accogliente e attento alle persone, chiaro e coerente. Ha saputo conservare la libertà, pur in una chiara appartenenza politica; il che gli ha consentito di rispettare e cercare questo grande bene in coloro che ne sono privati.
Può sembrare paradosso o utopia. La Parola di Dio, tuttavia, ci aiuta a definirla in altro modo: «speranza»! «La speranza non delude», abbiamo ascoltato dalla prima Lettura (Rm 5,5-11).
Nel mondo delle carceri, la speranza può essere nascosta in esperienze di impegno, lavoro, creatività, arte, solidarietà, che associano al riscatto sociale una rinascita dell’umano e che tentano di valorizzare una funzione rieducativa della pena. Ancor prima, però, la speranza si fonda sulla convinzione – convinzione forte in Felice Maurizio – che il carcerato, quali che siano i suoi crimini certi o presunti, è persona e rimane persona! È pertanto destinatario della «dignità infinita» da riconoscere a ogni persona, in qualunque stato o situazione di vita, inclusa la sua recuperabilità.
Per questo mi piace definire Felice Maurizio D’Ettore un uomo di speranza. Perché il suo operare, nato dalla fede e concretizzato nella carità, ha cercato sempre di proiettarsi verso orizzonti nuovi, invisibili, talora apparentemente impossibili da raggiungere, ma intravisti nella speranza di chi ha fiducia nell’essere umano ed è consapevole di come il futuro si costruisca camminando e lavorando assieme, con l’impegno quotidiano, generoso e gioioso.
La gioia illuminava spesso il volto di Maurizio, con la finezza dell’ironia e la capacità di non scoraggiarsi; ci rimane come eredità, assieme agli altri doni, diventando consolazione nel dolore infinito di oggi e spinta per procedere nel cammino della vita puntando alla meta, senza arrendersi dinanzi al buio di difficoltà, fatiche e delusioni.
Cari fratelli e sorelle, sappiamo che, per chi ha amato Felice Maurizio, camminare in terra senza di lui non sarà facile; ma egli, dal Cielo, ci aiuta a fare nostre le parole del Salmista (Salmo 142): «Signore, ascolta la mia preghiera, porgi l’orecchio alla mia supplica… Ricordo i giorni antichi, ripenso a tutte le tue opere, medito sui tuoi prodigi».
Facendo memoria, ci piace vedere nella sua breve ma intensa parabola di vita lo svolgersi dell’opera di Dio, al quale ci rivolgiamo con la supplica e la gratitudine, chiedendoGli che ci renda capaci di continuare una tale opera di giustizia, amore e pace.
Questo, nella sofferenza terribile del distacco, ci darà pace; questo farà continuare a vivere l’amore che egli ha riversato e continua a riversare su noi e sul mondo, e contribuire, come lui, a rendere migliore il mondo.
Grazie, Felice Maurizio! Continua ad accompagnarci con la tua preghiera, la tua forza, la tua gioia.
E così sia!

Locri (RC), Cattedrale – lunedì 26 agosto 2024

✠ Santo Marcianò

Foto da strettoweb.com