Omelia al cimitero di Locri
2 novembre 2019
In questo parco verde all’ingresso del nostro camposanto, luogo sacro, cimitero, ove riposano i resti mortali dei nostri cari defunti, concediamoci una pausa di riflessione, di silenzio e di preghiera. Di fronte alla morte è questo l’unico atteggiamento possibile. Qui ricordiamo l’importanza dell’opera di misericordia “seppellire i morti”. Un’opera non sempre scontata, se pensiamo che viene segnalato il fatto che troppo a lungo alcune salme restano in attesa di tumulazione. Ci saranno intoppi burocratici, ma questo non giustifica la lunga attesa.
La cultura della sepoltura e del lutto è sempre stata al centro della nostra sensibilità: essa si coniuga con la solidarietà dei vivi nei confronti dei defunti e dei loro congiunti in lutto. Vale sempre, anche per il nostro tempo, quanto detto dallo statista greco, Pericle, vissuto diversi secoli prima di Gesù: «Si giudica un popolo dal modo in cui seppellisce i propri morti». Il cimitero o campo santo è un luogo sacro, che va rispettato sempre. Non può essere luogo di speculazione e di affari personali. E’ il luogo più pubblico dei luoghi pubblici. Qui tutti prima o poi veniamo a differenza di altri luoghi pubblici ove non si entra mai. E’ il luogo da custodire e tutelare da ogni interesse estraneo. Alle autorità la grande responsabilità di volgere ogni attenzione e vigilanza in esso ed a noi il dovere di sentirlo come qualcosa che ci appartiene e ci è tanto caro. Nel cimitero tutti si è uguali e tutti si deve poter avere degna sepoltura. Siano tenuti lontani gli interessi venali.
La saggezza della liturgia della Chiesa dedica i primi due giorni di novembre ai Santi e alla memoria dei defunti. C’invita a guardare oltre, oltre questa vita, oltre gli affanni, oltre le preoccupazioni terrene. Ieri, solennità di Tutti i Santi, abbiamo venerato tutti i nostri fratelli e sorelle, amici di Cristo, che pienamente trasfigurati dalla potenza dello Spirito, vivono nella gioia piena di Dio, nel cielo. Sono coloro che hanno vissuto le cose ordinarie in modo straordinario, che hanno interpretato la vita nel segno della carità, radicati in Cristo. In loro abbiamo contemplato la Chiesa che vive la gloria di Dio in paradiso, che è la nostra vera meta, verso la quale siamo incamminati come pellegrini dell’eterno. Il Catechismo di S. Pio X alla domanda “chi ci ha creati, e perché?”, faceva rispondere: Ci ha creati Dio, per conoscerlo amarlo e servirlo in questa vita per poi goderlo dell’altra in paradiso.
Oggi, offriamo la nostra preghiera, l’Eucaristia in suffragio di tutti i defunti, che, al di là della morte, vivono ancora un tempo di purificazione, di speranza, di attesa, per poter essere ammessi nella visione beatificante di Dio: è la Chiesa nello stato di purificazione, sono le anime sante, già certe della loro salvezza, del Purgatorio, che, in certo modo, proseguono e portano a compimento la loro piena santificazione.
Da sempre i cristiani hanno desiderato che i loro defunti fossero oggetto delle preghiere e del ricordo della comunità cristiana. Le loro tombe divenivano luoghi di preghiera, della memoria e della riflessione. Come battezzati consideriamo i nostri defunti parte di noi e della Chiesa. Insieme formiamo una comunione, la comunione dei santi, una comunione che riguarda coloro che sono pellegrini su questa terra, i defunti che compiono la loro purificazione ed i beati del cielo; tutti insieme formiamo una sola Chiesa. C’è una Chiesa gloriosa, una chiesa in attesa di purificazione ed una chiesa ancora pellegrinante sulla terra.
E’ un giorno di speranza nella vita che verrà per noi che crediamo nella risurrezione. Alla luce della risurrezione di Gesù, nel suo sepolcro aperto e vuoto, primo testimone della vita nuova, si compiono le parole del profeta Isaia: «Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto» (Is 25,8).
La morte radica nella fragilità della nostra natura umana. Come ci ricordava san Paolo, «la creazione è stata sottomessa alla caducità» (Rm 8,20), ed è segnata drammaticamente dalla sofferenza, dal limite umanamente invalicabile della morte. Tuttavia, c’è come un’attesa, una sete di vita, una speranza che sempre rinasce nel cuore, c’è come un travaglio, in noi e nel creato, «tutta insieme la creazione gene e soffre le doglie del parto fino ad oggi»(Rm 8,22).
Nella risurrezione di Cristo vediamo l’inizio della vittoria definitiva e la nostra morte diviene realmente una “Pasqua”, un passaggio di vita in vita, da questo mondo al Padre: lo stesso nome “cimitero” ci ricorda che qui i nostri cari dormono, in attesa della loro risurrezione, e che anche il nostro corpo è destinato alla gloria. Con la morte la vita non è tolta ma trasformata,ci ricorda il prefazio I della messa dei defunti. Essa rappresenta il momento finale della nostra esperienza terrena: da quel momento non potremo più fare né il bene né il male. Saremo esposti al giudizio finale che il Signore ci riserverà nella sua infinita misericordia. E solo chi con arroganza e prepotenza, consapevolezza e deliberata coscienza si sarà opposto a Lui non potrà godere di questa misericordia.
Prepariamoci all’eternità, secondo il criterio che ci è stato ricordato nel Vangelo di Matteo sul giudizio universale (capitolo 25):alla sera della vita saremo giudicati sull’amore, concreto e fattivo per i nostri fratelli più piccoli, l’amore che si esprime nelle opere di misericordia. Sempre attenti a riconoscere la presenza che si nasconde in ogni fratello sofferente e bisognoso di aiuto: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).
E’ proprio questo versetto del vangelo che ha ispirato la mia prima Visita pastorale al mondo della sofferenza e delle povertà, che avrà inizio a San Luca la prima domenica di Avvento (1 dicembre 2019). Incontrare coloro che vivono la sofferenza e la povertà nelle loro case, immobilizzati in un letto, visitare le famiglie che assistono gli ammalati o che soffrono per la disabilità di un loro caro. Sono loro i veri destinatari della visita del Signore. E’ in loro che il Signore si è identificato. Non dimentichiamolo mai, come il Signore non si dimentica mai di noi. Amen.