Si sono svolti Lunedi 21 Ottobre i funerali di don Vincenzo Sansalone, parroco emerito di Canolo.
Di seguito l’OMELIA del Vesvovo monsignor Francesco Oliva alla liturgia esequiale.
“Quando Dio mi chiamerà farò la sua santa volontà. Io sono nelle mani di Dio, e non ho altri padroni. Sono solo nelle sue mani”. Sono le parole con le quali don Vincenzo rispondeva alla mia richiesta, nel gennaio 2016 a lasciare Canolo, ove molto anziano e da solo viveva in campagna nel suo umilissimo povero rifugio. Gli chiedevo di venire ad abitare qui a Locri in episcopio o in seminario. In quelle poche parole troviamo il suo testamento spirituale. La scelta dell’eremitaggio in assoluta povertà lo aveva portato a vivere gli ultimi anni della sua vita a contatto con la terra. Una scelta fatta dopo aver vissuto tantissimi anni a Canolo come parroco della parrocchia di S. Nicola di Bari, dalla quale si era dimesso una volta raggiunta l’età canonica dei 75 anni. 46 anni di servizio pastorale dal 1956 al 2002. Altri anni di ministero li aveva vissuti a S. Ilario e Condoianni.
Nato ad Agnana nel 1926, avrebbe compiuto 92 anni il 20 novembre prossimo. 66 anni di sacerdozio essendo stato ordinato il 5 ottobre 1952. Si era formato alla scuola dei Servi di Maria, quando ha capito di non essere fatto per la vita religiosa, ed era rientrato in diocesi, per essere prete diocesano. L’obbedienza per lui era una virtù difficile, ma da praticare conservando sempre la sua libertà interiore.
Ringraziamo il Signore per il bene che ha fatto nel corso della sua lunga vita. Una vita semplice trascorsa nell’umile servizio di parroco. Un uomo essenziale, legato alla natura, ha dimostrato fedeltà al Signore attraverso la celebrazione dei sacramenti ed il contatto con la terra. Si direbbe, per usare un’espressione che andava di moda negli anni passati, “il prete-operaio”, che amava lavorare la terra con l’atteggiamento del contadino speranzoso di raccogliere i frutti, che, generosamente, donava con gioia anche ai confratelli che andavano a trovarlo. Con questo senza trascurare il ministero di parroco. Anzi coniugando il lavoro della terra con quello preminente del servizio pastorale nella Vigna del Signore. In questa Vigna ha operato con coerenza, annunciando il Vangelo con convinzione e coraggio, non ammettendo alcun compromesso e mezze misure. Il Vangelo secondo don Vincenzo era un modo di vivere integerrimo, da testimoniare con la vita sine glossa. Il ritiro nella solitudine della sua campagna non aveva il senso della resa ma era una scelta di vita, nella rinuncia ai beni materiali preferendo la solitudine, l’umile terra, la povertà, l’essenzialità della vita, rifiutando il consumismo moderno in tutte le sue sfaccettature. Ed il desiderio di vivere sino in fondo il messaggio della Laudato sì.
Il Vangelo di oggi sembra aver trovato in don Vincenzo un terreno fertile. Gesù, rispondendo alla richiesta di un uomo che voleva dirimere una lite per la divisione dell’eredità, richiama la condizione dell’uomo, che, quando dimentica di appartenere a Dio, cerca la sua sicurezza nelle ricchezze, finendo col cadere in un’angoscia mortale. Gesù ci lascia un grande insegnamento: “Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che possiede”. La ricchezza può trasformarsi in inganno, promettendo ciò che non riesce a dare. A volte si è attratti dalla facile ricchezza, ci si illude che essa possa risolvere i grandi problemi della vita, di poter comprare con essa tutto: onori, salute, benessere. Purtroppo l’avidità del denaro e la sete di guadagno restano sempre come la grande tentazione, una fonte di preoccupazioni e di ingiustizie, di odio e di egoismo, mentre la morte tutto porta via.
“Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”. L’abbiamo acclamato al Vangelo. E’ la beatitudine che rende felici, che porta a confidare in Dio più che nelle cose, a prestare attenzione al nostro modo di essere più che all’avere ed al possedere. Alla fine tutti – anche noi sacerdoti – saremo giudicati non sui beni che lasceremo, ma sul bene compiuto, ovvero sull’amore e sul modo in cui avremo realizzato la nostra vocazione nella fedeltà a Dio e alla Chiesa attraverso la pratica della carità pastorale. Questo è “arricchire davanti a Dio”, ciò che veramente conta. E’ la scelta di don Vincenzo, che si è affidato alla Chiesa, preferendo la povertà al possesso delle cose. Lo ringraziamo come sacerdoti per questa testimonianza. Il suo è un testamento che dobbiamo fare nostro. Non dimentichiamo che ciò che abbiamo è ciò che la Chiesa ci ha donato per svolgere il ministero. E’ alla Chiesa ed ai poveri che dobbiamo far parte delle nostre cose.
Desidero ringraziare tutti i sacerdoti presenti a questo momento di preghiera. Ringrazio quanti hanno voluto bene a don Vincenzo: era solo e sono andati a trovarlo, era malato e lo hanno assistito. Nella sua solitudine non lo hanno lasciato solo. Ringrazio i suoi parenti, il fratello, le nipoti e quanti non si sono dimenticati di lui e negli ultimi tempi hanno vegliato su di lui con carità fraterna: don Giuseppe Alfano, don Antonio Magnoli, il diacono Mimmo Franco. Un grazie agli operatori della struttura sanitaria Villa Vittoria di Antonimina, con i suoi medici ed infermieri, che hanno avuto su di lui una particolare attenzione ed il rispetto verso il sacerdote, che ha dato tanto a quanti ha incontrato nel corso del suo ministero.
Sia lode a Dio per il dono di questo sacerdote e di tutti i sacerdoti che Egli non manca di dare alla sua chiesa. Amen!