Il 4 Dicembre, nella Concattedrale di Gerace, don Angelo Festa è stato ordinato Presbitero
Ecco l’Omelia del Vescovo monsignor Francesco Oliva
Cento anni fa la sera del 1° dicembre 1916, veniva ucciso Charles de Foucauld nel deserto del Sahara. Sulle montagne dell’Hoggar tra i Tuareg, i più poveri della terra. Conquistato dal volto di Gesù a Nazareth, si era fatto povero tra i poveri. Giovanissimo si era allontanato dalla fede, ma, dopo un periodo trascorso in Marocco per una missione di esplorazione, ritornato in Francia, aveva ripreso il cammino spirituale: «Ho iniziato ad andare in chiesa, senza essere credente, vi trascorrevo lunghe ore continuando a ripetere una strana preghiera: “Mio Dio, se esisti, fa che io Ti conosca!”». La sua conversione avvenne a 28 anni: «Non appena credetti che c’era un Dio, compresi che non potevo far altro che vivere per Lui». Il suo motto divenne “Gesù carità, Gesù amore”. Il 13 novembre 2005 Papa Benedetto XVI lo annoverava tra i Beati.
“Vivere solo per Lui”, seguire Gesù povero era questo il suo itinerario spirituale. Una parte importante in questo cammino di conversione l’ebbe il suo direttore spirituale, l’abbé Huvelin. Una buona guida spirituale illumina il cammino di ognuno. Accadde a fratel Charles, accade nella nostra vita. Lo hai sperimentato anche tu, carissimo Angelo, in compagnia del carissimo don Fabio, che il Signore ha chiamato a sé. Il tuo cammino verso il sacerdozio è iniziato con uno che ha saputo mostrarti il Signore. E’ sempre così. La vocazione sacerdotale si scopre grazie alla testimonianza di un altro. Non è mai una scoperta che avviene nell’isolamento: c’è sempre l’accompagnamento e la cura di un altro. Ciascuno noi è arrivato alla fede ed ha avvertito la chiamata del Signore nel vissuto di una comunità, nel rapporto e nell’incontro con un educatore, con chi ci ha offerto un modello di fraternità. In questo cammino di fede c’è spesso la figura di un sacerdote: “il prete è un ostensorio, suo compito è di mostrare Gesù. Egli deve sparire e lasciare che si veda solo Gesù…”. E’ la consegna che Fratel Charles fa a tutti noi, ed in particolare a te, Angelo. Essere mediatori della grazia, guide che accompagnano il cammino di fede dei ragazzi e dei giovani: quale missione più bella ed entusiasmante per un sacerdote oggi! Il sacerdote perde questa sua identità, quando viene meno la sua funzione di padre spirituale, quando la sua relazione con Gesù s’impoverisce. Ciò che più conta nella vita di un sacerdote è essere costantemente preso dall’amore di Gesù, è lasciarsi possedere da Lui, a lui affidare la propria vita. “Ricordino i fratelli sacerdoti che si fa bene agli altri nella misura di ciò che si ha dentro di sé, quanto a spirito interiore e a virtù”. Fratel Charles lo dice a tutti noi sacerdoti. Cosa c’è dentro il nostro cuore? Solo se batte per Gesù ci sarà tanta gioia, ci sarà la voglia di andare, ci sarà passione e tanto amore. Il popolo di Dio non vuole sacerdoti tristi, eternamente insoddisfatti, stanchi ed annoiati o semplici amministratori del sacro. A tutti ed a te, Angelo, il Signore chiede di essere innamorato di Lui, appassionato della missione che ti affida. Solo un grande amore può spiegare la tua vocazione e quella di ogni sacerdote. Quando questo amore viene meno, la vita sacerdotale inaridisce. Non dimentichiamo che se siamo impastati di materia e debolezza, possediamo un grande tesoro che è la chiamata del Signore che ha cambiato rotta alla nostra vita.
La figura di Fratel Charles richiama sotto molti aspetti quella di Giovanni Battista, detto il “Precursore”, per essersi fatto “voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via al Signore”. Il Battista, del quale Gesù dice che “tra i nati di donna non è sorto uno più grande di lui”, sa di essere mandato a preparare la via al Signore. Egli ci accompagna in questo tempo di Avvento, indicandoci le coordinate che ci portano all’incontro con Lui: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino! “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!”. Giovanni esorta a cambiare dentro, a “convertirsi”, a “girarsi totalmente dall’altra parte” nella direzione di Dio. Solo Dio è capace di dare sapore alla vita. In questo tempo di Avvento tutti, e soprattutto noi sacerdoti, siamo chiamati a stare davanti al Signore, ad essere con Lui nella preghiera, senza mai scendere a patti con la mediocrità della vita, quella che si esaurisce in un benessere comodo e facile, che anestetizza valori ed ideali. Accogliendo la sollecitazione del Battista chiediamo a Dio che “il nostro impegno nel mondo non ci ostacoli nel cammino verso il suo Figlio” e che “la sapienza che viene dal cielo ci guidi alla comunione con Cristo”.
Quanti ostacoli nel cammino verso di Te, Signore! Non mancano neanche nella vita del sacerdote. Il primo ostacolo può venire dagli impegni quotidiani, che occupano il tempo in modo frenetico e totalizzante, e tolgono a Dio ciò che a Lui spetta. Le tante preoccupazioni terrene, gli impegni di vario genere, l’ansia di fare, allontanano dal Signore. Spesso si aggiunge anche la voglia di mettersi al di sopra degli altri. Ci si dimentica che nella logica di Gesù ciò che conta è farsi servi gli uni degli altri, chi sta a capo è colui che serve. E se uno vuole essere il primo, deve farsi servitore di tutti. In questo modo, vengono capovolti i valori della mondanità, del pensare secondo le mode del tempo. Ma può anche esserci un altro più grave ostacolo nel cammino verso Gesù. Ed è la slealtà. Essa si ha, quando uno vuol servire il Signore senza distaccarsi dalle altre cose, vuole servire due padroni: “Nessun servo può avere due padroni: o serve Dio o serve il denaro». Essere sleali è fare il doppio gioco: in Chiesa tutti compunti, devoti, formalmente in preghiera; fuori del tempio tutto cambia: perfettamente assimilati a coloro che non sono dalla parte del Signore. La slealtà è sintomo di uno sdoppiamento di personalità che allontana da Dio e dai fratelli, che genera una finzione che porta a disprezzare l’altro ed a rovinare ogni umana relazione. Non c’è male più grave di quanto lo sia la slealtà: la slealtà di fronte a Dio, di fronte al prossimo, di fronte alle proprie scelte fondamentali. Doppiezza e slealtà sono virus pericolosi che possono contagiare anche la nostra vita di sacerdoti.
Il profeta Isaia (I lettura), pensando al Messia, afferma che “su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e d’intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore”. Sono doni dello Spirito che fanno perno nella sapienza che viene dal cielo. Di questa sapienza abbiamo tutti bisogno. Soprattutto noi sacerdoti chiamati ad una missione di amore. Questa sapienza invoco su di te, carissimo Angelo. Essa non è tanto una saggezza umana, frutto di conoscenza e di esperienza, quanto quel discernimento interiore che ti aiuterà a cogliere la bellezza dell’amore di Dio in ogni cosa, anche nelle cose più semplici, nei servizi più umili. La sapienza che chiedo per te e per tutti i sacerdoti è la grazia di poter vedere ogni cosa con gli occhi di Dio: vedere il mondo, le situazioni, i problemi, sempre con gli occhi di Dio. Questa la sapienza aiuta a superare la tentazione di ricercare solo ciò che risponde al proprio tornaconto o di assecondare gli impulsi disordinati delle passioni. Questa ci fa avere “gli stessi sentimenti gli uni verso gli altri”, in modo da “accogliersi gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi”. Senza questa sapienza non ci sarà dialogo, accoglienza reciproca, ma solo invidie, gelosie, maldicenze e cattiverie di ogni genere. Senza questa sapienza, le relazioni nel presbiterio diocesano sono compromesse e ostacolate: è come trovarsi in una realtà del tutto estranea.
Caro Angelo, l’imposizione delle mani nel Rito di ordinazione da parte di tutti i sacerdoti presenti è più che un segno di semplice accoglienza: è comunicazione dello spirito del presbiterio. Nel presbiterio si entra grazie al legame sacramentale che si realizza tra tutti i presbiteri. La novità che scaturisce dall’ordine sacro confluisce in questa realtà dinamica che si alimenta nella stima vicendevole, nella collaborazione e progettazione pastorale, nella vita comune, nell’amicizia sacerdotale, nel non isolarsi, nel ricercare frequenti occasioni d’incontro. Il venire meno a tutto questo porta inesorabilmente all’inaridimento spirituale e alla sterilità apostolica. D’ora in avanti, sforzati di vivere il presbiterio diocesano come una seconda famiglia. E prega sempre per i tuoi confratelli presbiteri. Insieme a loro potrai costruire quell’esperienza di condivisione spirituale che il Signore ha pensato per te. Sappi che lo “spirito del presbiterio” si alimenta nella ricerca di Dio, nell’essere attratti dal desiderio di conoscerlo, dal vivere una relazione personale con Lui, «tête-à-tête, faccia a faccia, come amava dire fratel Charles. Pensando alla grandezza e bellezza del dono del sacerdozio, ci viene da lodare Dio Padre: «Com’è buono il buon Dio per noi! Misericordias Domini in aeternum cantabo: non vorremmo dire altro che queste parole per tutta la vita… Effondiamoci in riconoscenza, in gioia, in benedizioni, guardando le bontà di Dio per tutti gli uomini, il Suo amore inaudito per ognuno di noi; contempliamoLo e diciamoci che siamo uno di quei piccoli esseri che Egli ha tanto amato (…). Chi siamo noi, per essere trattati così teneramente da Dio?…».
Con queste espressioni di Fratel Charles ringraziamo il Signore in questa ora di grazia per Angelo, per i tuoi genitori e familiari, per la tua comunità parrocchiale di origine, per il suo parroco, che ci onora con la sua presenza, per noi e per tutta la nostra chiesa. Amen!