(10 febbraio 2020)
L’evangelista Marco riassume il ministero di Gesù, medico delle anime e dei corpi, facendo riferimento ai tanti malati che accorrono a Lui o che gli vengono presentati: “E là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati” (Mc 6, 56).
Gesù riconosce la sua missione nel prendersi cura dei malati: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori». Egli mostra di avere una predilezione particolare verso di loro e, paragonandosi ad un medico, dice di voler anzitutto soccorrere i malati, mostrando visibilmente la misericordia del Padre.
Il Vangelo di oggi ci fa incontrare Gesù in Galilea, ove viene riconosciuto come colui che dà e salvezza. Molti malati accorrono a lui, lo cercano ed altri gli sono portati. Egli fa da “ospedale da campo”. Attraverso di Lui si manifesta il ruolo e la missione di ogni credente: cercare l’ammalato per vedere Gesù, poterlo toccare e dare conforto agli affaticati ed oppressi. Non basta procurare agli ammalati un buon ospedale e affidarli alle buone cure dei medici: quasi sempre alla malattia del corpo si accompagna uno stato di debolezza ed infermità spirituale, che va curata. Quando riponiamo tutte le nostre speranze solo ed esclusivamente nell’apporto della medicina e delle cure farmacologiche, rischiamo di trascurare la parte più importante e preziosa dell’uomo, la sua anima. Capita spesso di trovarci impreparati dinanzi al malato, specie dinanzi al malato terminale, quando la medicina e i medici non hanno più nulla da fare ed in tono rassegnato sentiamo dire: «Non c’è più nulla da fare». Quando non c’è più nulla da fare da parte della medicina, più efficace è la cura della vicinanza e dell’amorevolezza e la compassione di chi sta vicino, l’umana premura, che aiuta il malato ad affrontare il momento della morte. Questa è la proposta cristiana per una vera eutanasia, per una morte non dolce, ma da credenti. Dio solo sa quanti malati vivono nella solitudine e nell’abbandono, quando avrebbero bisogno di presenze e di fraterna vicinanza. Quando vengono meno le umane attese c’è bisogno più che mai di ravvivare la speranza cristiana nei beni futuri e nella vita eterna.
Quanti soffrono ci avvicinano a Dio: il loro volto sofferente ci mostra il Crocifisso. Un grazie ai fratelli e sorelle, che portano nella carne i segni della fragilità e della sofferenza, a quanti immobilizzati a letto o in carrozzella, fanno dono del proprio sorriso e di una pace interiore che riempie i cuori. Possano tutti i malati sentire vicina “la Chiesa, “locanda” del Buon Samaritano che è Cristo (cfr Lc 10,34), la casa dove poter trovare la sua grazia che si esprime nella familiarità, nell’accoglienza, nel sollievo”. Possano incontrare in questa casa persone, che, guarite dalla misericordia di Dio nella loro fragilità, sappiano essere cirenei che aiutano a portare la croce, facendo delle proprie ferite delle feritoie, attraverso cui guardare l’orizzonte al di là della malattia e ricevere luce.
Possa essere questo Santuario mariano “locanda” del Buon Samaritano, casa che accoglie, che lava le ferite a chi soffre ed offre calore umano, familiarità e consolazione. Gli ammalati, i sofferenti, che si affidano a Dio nel loro dolore, siano per tutti scrigno di vera umanità. In tanti di loro vedo i segni di una fede vissuta. Nella mia visita pastorale sto incontrando il volto sereno ed il sorriso di tanti affetti da malattie inguaribili e croniche e da varie disabilità. Vedo accanto alla maggior parte di loro una famiglia che soffre e, con grande dignità, chiede conforto e vicinanza.
Nella malattia la persona si sente compromessa non solo nella sua integrità fisica, ma anche nella sua capacità relazionale ed affettiva: ha bisogno, oltre che delle medicine, di tanto sostegno, sollecitudine ed attenzione. Non basta il solo impegno del curare, c’è bisogno del prendersi cura, facendo dono del proprio tempo e della propria vicinanza. Non dimentichiamo mai che le persone sofferenti hanno bisogno di un supplemento di amore, che accompagni il loro difficile cammino, specie quando avvertono di non poter guarire ed hanno bisogno di chi si prende cura di loro fino all’ultimo istante. Di una cosa sono certo: attraverso piccoli gesti di vicinanza ad un malato è possibile cambiare il mondo, superare la coltre dell’indifferenza ed aprirsi a gesti concreti di vicinanza.
A tutti e soprattutto ai fratelli e sorelle infermi, Gesù dice: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28). Sono parole semplici ed amorevoli che rivolge a quanti soffrono nel corpo e nello spirito!
Un grazie ai Ministri straordinari della comunione, attraverso i quali la Comunità cristiana svolge il ministero della consolazione, che è balsamo di luce e profumo di santità.
Grazie agli operatori sanitari, medici, infermieri, che si fanno carico della persona malata, curandone le ferite e facendo sentire la presenza di Gesù.
Grazie ai volontari delle associazioni (cito per tutte l’Unitalsi, l’Avo, protezione civile), che si pongono al servizio dei malati, supplendo spesso alle carenze del sistema sanitario, che resta per tutti una conquista di civiltà da tutelare e conservare.
Con papa Francesco auguro a me ed a tutti che “l’esperienza di preghiera e carità fraterna aiuti tutti e ciascuno a riconoscere Gesù, sofferente e glorioso, presente nei fratelli poveri e ammalati” (Messaggio per la XXVIII Giornata Mondiale del Malato 2020).
Maria, salute degli infermi, prega per noi!
Santuario N.S. dello Scoglio (Placanica), 10 febbraio 2020