Messaggio al Popolo di Dio che è in Locri-Gerace,
ai suoi Presbiteri, diaconi, religiosi e religiose,
alle associazioni e movimenti ecclesiali,
a tutti gli uomini e le donne amati dal Signore!
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“Ed essi si dissero l’un l’altro: “Non ci ardeva forse in noi
il nostro cuore, mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci
spiegava le Scritture?” Partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme,
dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali
dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone». Essi poi
riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto
nello spezzare il pane” (Luca 24, 32-35).
Desidero, quest’anno, il secondo dedicato alla Parola, invitare a dare continuità a quanto ho scritto nella Lettera “Non passare oltre senza fermarti” (2018-2020). Senza stanchezze e rinunce. Lo Spirito agisce in noi, edifica la Chiesa e ci guida nell’ascolto della Parola, “sorgente pura e perenne di vita spirituale”[1]. Come nelle comunità delle origini, “la Parola di Dio si diffondeva e si moltiplicava grandemente il numero dei discepoli a Gerusalemme” (At 6,7; cfr At 12,24). Anche oggi senza la Parola, la Comunità credente non cresce. La Parola è tutto il suo bene, dà senso e speranza, fa essere fratelli.
Mi chiedo: quali e quanti dei percorsi biblici suggeriti lo scorso anno sono stati avviati? In molte parrocchie non manca il fervore, ma in altre è la Parola, inesauribile tesoro, ad essere trascurata. Questo nuovo anno pastorale è un’altra occasione di grazia, da vivere sul piano personale e comunitario come incontro col Risorto. E’ la scansione di un ritmo pluriennale fondato sulla Parola, che dà luce al nostro cammino. Assumiamo la Parola in ogni nostra azione e lasciamoci avvolgere da essa.
Il testo di riferimento è il vangelo di Luca sui discepoli di Emmaus (Luca 24, 28-32). L’icona è il cuore che arde, mentre il Forestiero spiega le Scritture. Lasciamoci scaldare da lui, che ci affranca dagli individualismi, che compromettono il nostro essere popolo dell’Alleanza.
Il Forestiero della porta accanto
Un Forestiero ti affianca lungo il cammino. Prende parte ai tuoi discorsi. Condivide le tue esperienze, le fragilità e ferite della vita. Ti solleva dal malessere e dagli scoraggiamenti. Grazie al Forestiero incontrato per via, i due discepoli hanno ritrovato luce e speranza. Possiamo anche noi incontrare quel Forestiero. Non è diverso dal migrante accolto con moglie e figli nella casa parrocchiale a Siderno. Grazie a quanti l’hanno accolto. A lui ed alla sua famiglia è stata restituita la dignità che era stata loro tolta. Grazie a chi fa dell’accoglienza una missione di pace, che accolgono, non per avere attestati di benemerenza, ma per ridare calore ed affetto. Grazie a tutti, volontari ed associazioni, operatori delle Caritas, che fanno dell’accoglienza un’esperienza di vita, senza cercare alcun vantaggio. Costruiamo relazioni sincere, senza essere mai seminatori di odio e di morte. Liberi dalla paura, accogliamo la Parola, che non può essere imprigionata e depotenziata della sua energia, capace di trasformare fredde relazioni in gesti di umanità.
Lungo il cammino lasciati affiancare dal Forestiero, che parla al tuo cuore. E’ il Forestiero che spezza con te il suo pane, che ti spiega la vita attraverso le Scritture. E’ il Forestiero che cerca la tua compagnia, che dona futuro e speranza a chi è privo del bene più grande che è la gioia di vivere. Non sei solo: quel Forestiero percorre la strada con te, ti chiede attenzione. Non ha un volto, ha tanti volti, ha il volto del sacerdote, del collaboratore parrocchiale, di chi ti è simpatico ma anche antipatico, del migrante che vuole attraccare al porto della tua vita, dell’amico ferito dai mali del tempo. E’ il Forestiero della porta accanto, col quale cominci a scambiare qualche sguardo o a rompere l’anonimato ed il silenzio, per costruire una storia d’impegno civile e di solidarietà. E’ lo straniero che t’invita a guardarti dentro e a liberarti da pregiudizi velenosi e dalla pericolosa tendenza condannare il fratello. La sua Parola non sia per te “forestiera”. Lo è, quando la consideri estranea, non ti senti interpellato da essa, quando non suscita in te alcuna reazione. Quando nelle liturgie è ascoltata senza essere accolta, accolta senza diventare fuoco che brucia, luce che illumina e sale che condisce.
A Te, Signore, chiedo per il mio popolo un rinnovato entusiasmo nell’accogliere ed amare la Parola, “viva e potente”,“spada dello Spirito” (Ef 6, 17), “più tagliente di ogni spada a doppio taglio; penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla, e discerne i pensieri e gli intenti del cuore” (Eb 4,12).
Non posso continuare a dirmi cristiano senza questa Parola, quando diventa per me un racconto o favoletta passatempo, che nulla cambia nella vita di ogni giorno. Torni questa Parola a riscaldare il mio cuore, a riaccendere la speranza. Mi aiuti ad essere discepolo missionario. Condivido il pensiero di Dossetti, per il quale la Parola “porta inevitabilmente a uscire dalla propria individualità e anche dalla propria personalità come dato naturale umano, e ad entrare in comunione con altri: con Dio evidentemente prima di tutto e con gli altri non in quanto individui o persone, ma in quanto figli di Dio”. Ogni attività della Chiesa trova in essa ragione ed ispirazione: il legame con essa crea comunità, fa superare gli egoismi, illumina i lati oscuri della vita.
Non ci ardeva il cuore
In cammino verso Emmaus, finito il loro sogno, i due discepoli, scossi ed intimoriti, tornavano alla realtà di una vita senza senso e futuro. La tristezza era sui loro volti. La frustrazione era tanta. E’ la stessa frustrazione che si riscontra nel nostro mondo, ove “il timore e la disperazione si impadroniscono del cuore di numerose persone, persino nei cosiddetti paesi ricchi. La gioia di vivere frequentemente si spegne, crescono la mancanza di rispetto e la violenza, l’inequità diventa sempre più evidente”[2].
Se è la Parola a guidarmi, non posso tollerare le ingiustizie, le diseguaglianze sociali e economiche, i danni ambientali, i mali che uccidono i deboli. Quanta tristezza nei volti della gente nella nostra terra! E’ la tristezza che prende anche me e te, quando, nel grigiore della rassegnazione e dell’abitudine, ci sentiamo stanchi, annoiati e senza stimoli. Quando ci sentiamo impotenti di fronte ad una realtà nuova e che non riusciamo ad accettare. Quando sentiamo il peso del tempo, in cui viene a mancare ogni sicurezza e si va avanti senza meta o con orizzonti sfumati ed incerti. Quando non riesco ad accettare la ricchezza della diversità che è nell’altro.
Penso ai discepoli di Emmaus come due giovani di oggi, che hanno perso la gioia ed il futuro. Sono giovani NEET, che non studiano, non hanno lavoro e non sono impegnati in alcun modo[3]. C’è chi vorrebbe credere, ma tutto appare inutile. C’è chi non ha la voglia di lottare, preso dalla tentazione di fuggire, in cerca di profitti e guadagni. Sono tanti i giovani senza comunità, senza futuro, senza appartenenze. Sono tanti ad affidarsi al “noi” della rete. Un ‘noi’ che imprigiona nei tentacoli dell’io, che rende spettatori ed alimenta ansietà, alienazione e quell’individualismo, che spegne i sogni dei giovani e li rinchiude nel loro piccolo mondo. E’ l’individualismo, che si fida dei social e della telematica più che delle relazioni, del mondo virtuale più che delle relazioni personali[4]. Un individualismo diffuso che contagia anche le nostre comunità, i sacerdoti, i fedeli e rinserra nell’autoreferenzialità, nelle sicurezze delle proprie tradizioni e negli sterili ritualismi.
Grazie, Signore, se anche a me concedi di vivere l’esperienza dei due discepoli. Grazie, se in tua compagnia il mio cuore torna ad ardere, se trovo il coraggio di non cedere ai soliti luoghi comuni: “non si può fare niente”, “la realtà è questa”, “c’è poco da cambiare”, “il mondo va come sempre andato”, “chi me la fa fare”, “lascia perdere”. Grazie per la bellezza delle cose nuove che mi fai vivere ogni giorno!
Un cammino sinodale illuminato dalla Parola
Un “sinodo” sulla Parola: così immagino questo anno pastorale. Guardando l’icona dei due discepoli penso alle nostre comunità, agli uomini e alle donne, vittime della disillusione e delle difficoltà di una vita senza dignità. Ci accada l’esperienza dei due discepoli. La Parola diventi “carne” (“et Verbum caro factum est”) e arda il nostro cuore.
In diocesi tante sono state le iniziative volte alla conoscenza della Bibbia, grazie all’opera dei Vescovi che mi hanno preceduto. Penso ai “Martedì della Parola” che ancora continuano in alcune parrocchie. Le esperienze positive non vanno perse, ma condivise con cuore umile e pronto. Quanto vorrei che ci fosse in tutti il gusto della Parola! Che tornasse ad essere realmente il centro della vita, il Libro di ciascuno di noi! La Parola che attrae è seme che germoglia. I Padri della Chiesa invitavano i cristiani ad accostarsi alla Bibbia, presentandola come la lettera di Dio agli uomini. Gregorio Magno raccomandava a Teodoro, medico dell’imperatore di Bisanzio, di non lasciarsi sopraffare dalle occupazioni che impedivano di leggerla e meditarla ogni giorno: «Ebbene, che cos’altro è la sacra Scrittura se non una lettera di Dio onnipotente alla sua creatura? Leggila dunque con ardente affetto»[5].
Nel caos delle tante parole che risuonano nella città degli uomini accogliamo la Parola del Forestiero con cuore umile. Come una perla preziosa che arricchisce la vita. Facciamone tesoro come i due discepoli, che non si fermarono ad Emmaus, se non per la durata della Cena. C’era in loro un ardore che li spingeva a tornare a Gerusalemme. Nel piccolo villaggio di Emmaus, non vi erano più ragioni per restare. Cosa rappresentava Gerusalemme? Un luogo geografico o uno spazio umano ricco di esperienze, di incontri, di eventi, di relazioni? Il fuoco dello Spirito li spinse a tornare, per raccontare agli amici la gioia del loro vissuto. Per dire che la loro non era stata un’allucinazione o un abbaglio, ma un’esperienza vera, che aveva spazzato via la paura e vinto la rassegnazione. All’andata i due erano senza orizzonte. Al ritorno erano guidati dalla gioia di Colui che vive ed è Risorto.
E’ giusto attendersi più entusiasmo nel comunicare il Vangelo, nel farne scoprire la bellezza non come una parola lontana, rassegnata, ma presente, viva ed operante. Guai a me se mi vergognassi del vangelo. Affidarsi alla Parola rende comunità evangelica: “Bisogna formarsi continuamente all’ascolto della Parola. La Chiesa non evangelizza se non si lascia continuamente evangelizzare. È indispensabile che la Parola di Dio “diventi sempre più il cuore di ogni attività ecclesiale”[6].
Affido alla creatività dei sacerdoti e del popolo di Dio la ricerca di nuove forme di annuncio della Parola, più adatte alla sensibilità del nostro popolo. Anche il progetto “Arte e fede”, che richiama la cosiddetta “bibbia dei poveri” (biblia pauperum), l’arte pittorica a sfondo biblico, diventa cinghia di trasmissione del messaggio biblico e di evangelizzazione. Accogliamo come indicazione preziosa quanto scritto nell’EG: “L’evangelizzazione richiede la familiarità con la Parola di Dio e questo esige che le diocesi, le parrocchie e tutte le aggregazioni cattoliche propongano uno studio serio e perseverante della Bibbia, come pure ne promuovano la lettura orante personale e comunitaria. Noi non cerchiamo brancolando nel buio, né dobbiamo attendere che Dio ci rivolga la parola, perché realmente “Dio ha parlato, non è più il grande sconosciuto, ma ha mostrato se stesso”. Accogliamo il sublime tesoro della Parola rivelata” [7].
In compagnia del Risorto
Ripartire da Emmaus, ripartire dalla Parola di Colui che ama ed è fedele alla sua Sposa, del Signore della via, della verità e della vita. Anche noi ripartiamo da Emmaus, direzione Gerusalemme. Superando la tentazione di restare nel piccolo villaggio, in una resa che allontana dalla realtà e dalle responsabilità. Riprendiamo coraggio. Non arretriamo, quando il cammino si fa duro. Come i due discepoli, che “partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme”. Con la “fretta” di Maria, del dinamismo dello Spirito, che rende fecondo il suo grembo e quello della Chiesa. Seguiamo la via, anche quando si fa irta: “la strada che da Gerusalemme sale a Emmaus, come ogni altra strada del Vangelo, non è mai una passeggiata. Anche nei tempi più perduti, uno rischia l’incontro: purché si metta in istrada. Nel Vangelo, la strada è più di un luogo o di un personaggio: è il Signore. Lungo la strada è incominciata la chiesa; lungo le strade del mondo la chiesa continua” (don Primo Mazzolari).
Ci sia di stimolo l’esortazione di un grande maestro e pastore, il card. C.M. Martini:
“Ritorniamo a Gerusalemme. Ripartiamo da Emmaus. Evasioni e stanchezze ci hanno allontanato, e rinchiuso nella nostra casa di Emmaus: nel piccolo mondo di apostolato su misura delle nostre innate paure. Dobbiamo partire, per incontrare i fratelli, vicini o sconosciuti, ancora li fedeli o già in fuga, e testimoniare loro che Cristo è vivo, è qui nella nostra fede e nella gioia di vivere in libertà di spirito, nel nostro totale abbandono alla Grazia divina, nell’assoluta povertà dei mezzi umani. Coraggio, andiamo! Il giorno già declina, ma Cristo illuminerà il nostro passo»[8].
Riprendere il cammino verso Gerusalemme. Ritornare alla comunità che si ricompatta attorno al Risorto. E’ un ritorno che prende vita da quella cena, da quell’incontro e dalla fiducia riposta nel Forestiero.
Mettiamoci in cammino, senza restare ai margini, comodamente sui nostri divani, sulle sicurezze del già sperimentato in un momento in cui tutto è cambiato. Superiamo ogni forma d’indifferenza e d’inerzia. Non poniamo ostacoli all’azione dello Spirito. Andiamo verso la città degli uomini, ove si vivono gli affetti più belli, il lavoro e la festa, la fragilità umana, la tradizione e la cittadinanza. La terra che abitiamo ha bisogno dell’acqua viva della Parola. Lasciamoci interpellare da questa Parola: ha ancora tanto da dire a noi ed alla nostra comunità. Lasciamoci coinvolgere nella storia e nelle vicende della nostra gente. Condividiamone le lotte e l’anelito a liberarsi da storie passate, dal malaffare, da tutte le ferite che l’hanno insanguinata e ne condizionano la vita. L’annuncio del Vangelo è credibile, se la nostra vita è unita a quella del fratello ferito, se si trasforma in testimonianza di carità. Vangelo sono i poveri, gli ultimi, cercati ed amati dal Signore:
“Comincia quindi ad amare il prossimo. Spezza il tuo pane con chi ha fame, introduci in casa i miseri senza tetto, vesti chi vedi ignudo, e non disprezzare quelli della tua stirpe (cfr. Is 58, 7). Facendo questo che cosa otterrai? «Allora la tua luce sorgerà come l’aurora» (Is 58, 8). La tua luce è il tuo Dio, egli è per te la luce mattutina, perché verrà dopo la notte di questo mondo: egli non sorge né tramonta, risplende sempre. Amando il prossimo e prendendoti cura di lui, tu cammini. E dove ti conduce il cammino se non al Signore, a colui che dobbiamo amare con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente? Al Signore non siamo ancora arrivati, ma il prossimo l’abbiamo sempre con noi. Aiuta, dunque, il prossimo con il quale cammini, per poter giungere a colui con il quale desideri rimanere”[9].
In compagnia col Risorto, che ti aiuta a vivere il Vangelo, a scrivere la tua vita cristiana, a raccontarla a tutti. Sì, proprio a tutti: ecco il nostro programma di oggi e di sempre. Raccontare con la vita il Vangelo. Quanta tristezza quando il Vangelo ci trova prigionieri dell’abitudine, della noia, della disaffezione! Quando chiudiamo il nostro cuore agli orizzonti di Dio e non riusciamo a scoprire che siamo dentro una storia più grande. Una storia che parla di noi, che va oltre i nostri tradimenti e le nostre speranze, le nostre angosce e i nostri sogni, i nostri drammi, le nostre piccole verità, il nostro presente ed il nostro futuro. E’ una Parola che non è lontana da noi, che non può esserci forestiera. E’ nel nostro cuore! Vuole essere a noi familiare.
Torniamo nella città degli uomini, per dire a tutti che il Signore è risorto e cammina con noi.
Ripartiamo da Emmaus da quella cena,
quando Tu, Signore, spiegando le Scritture,
facevi ardere il nostro cuore con le sue paure, i suoi sogni e le incerte speranze.
Sulle le strade del mondo incontriamo il tuo volto
nel fratello che invoca, spera e cammina.
Nella ricchezza del tuo infinito amore,
Tu, che sei Risorto per sempre, che sei il Vivente,
ci conduci a Gerusalemme, nella città degli uomini,
incontro all’umanità in cerca di futuro,
e ci doni la gioia di osare l’Amore che trasforma ogni cosa. Amen!
[1] Concilio Ecumenico Vaticano ii, Costituzione dog. Dei verbum sulla divina rivelazione (18 novembre 1965), 21: AAS 58 (1966) 827; d’ora in poi citata DV.
[2] Francesco, Esortazione apost. Evangelii gaudium sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale (24 novembre 2013), 52: AAS 105 (2013) 1041; d’ora in poi citata EG.
[3] Noto acronimo comparso per la prima volta in un articolo dal titolo Social exclusion and the transition from school to work: the case of young people Not in Education, Employment, or Training (NEET), 2002, su una rivista specialistica, a cura di due autori John Bynner e Samantha Parsons.
[4] «L’individualismo postmoderno e globalizzato favorisce uno stile di vita che indebolisce lo sviluppo e la stabilità dei legami tra le persone, e che snatura i vincoli familiari» (EG 99).
[5] Gregorio Magno, Epistola 5, 46.
[6] EG 174.
[7] EG 175.
[8] C.M. MARTINI, Ripartire da Emmaus, Milano 1991, 16-17.
[9] S. AGOSTINO, dai Trattati su Giovanni 17, 7-9; CCL 36, 174-175.