La Liturgia della Parola ancora una volta ci porta a riflettere sulle realtà ultime, ad alzare lo sguardo verso ciò che ci attende dopo questa vita. Il Vangelo parla di un “sole di giustizia”, che splende sulle azioni buone e di un “forno ardente” per gli empi. Non c’è confusione tra il “sole di giustizia” e il “forno ardente”, tra “i superbi… che commettono ingiustizia” e “i cultori del mio nome”. Superbi sono le persone piene di sé, che calpestano i diritti degli altri, gli arroganti e prepotenti, che causano lutto e morte. “Timorati di Dio” sono invece gli umili che confidano in Dio, che si tengono lontani dal fare il male e cercano il bene.
Cogliamo un messaggio molto significativo: il Signore ci prende sul serio, dà importanza alle nostre azioni, non è vero che un’azione vale l’altra. “Il Signore giudicherà il mondo con giustizia” (Salmo responsoriale). In Dio non c’è misericordia senza giustizia, ma non c’è giustizia senza misericordia. Da noi il Signore si aspetta una scelta precisa: “Da che parte state? Sapete che non potete conciliare bene e male, il diavolo e l’acqua santa?”.
Il Vangelo nonostante i riferimenti a tempi brutti (guerre, calamità naturali, terremoti, alluvioni), ci presenta un messaggio confortante: “neppure un capello del vostro capo andrà perduto”. E’ una rassicurazione di Gesù per un tempo molto difficile, che crea ansia e paure. Gesù ci chiede di non aver paura, di lottare contro la forza distruttrice del male, sapendo di avere al nostro fianco un Dio che ama. Egli ci ripete: “non vi terrorizzate”, quando si fa sentire la paura del domani, quando i vostri figli sono a casa e non hanno lavoro e magari ci sono dei piccoli che hanno bisogno di tutto.
Dico a voi, mamme, mogli, famiglie che avete qualche parente in carcere: non abbandonatevi allo scoraggiamento, pensando che non c’è nulla fare. Abbracciate le vostri croci, siano esse l’avere un parente in carcere, il soffrire una malattia o l’avere i figli in casa senza lavoro. Lasciatevi sostenere dalla fede. La fede crea in noi una speranza che ci porta a guardare oltre il tempo presente. San Paolo nella seconda lettura parla di una speranza che non sta ad aspettare con le mani in mano, di una speranza che si dà da fare. Una speranza che non aspetta che le risposte ai problemi vengano calate dall’alto. Dall’alto non arrivano risposte ai nostri problemi, nè tantomeno arriveranno dalla politica. Arriveranno solo se ci rimboccheremo le maniche, se metteremo da parte la diffidenza e uniremo le forze, se avremo la pazienza di provare, di rialzarci e riprovare con umiltà, imparando dai nostri errori. San Paolo ci dice che non ci sarà futuro se staremo solo a lamentarci, seppure per giusti motivi. Non mangeremo se staremo fermi ad aspettare che lo Stato o qualche politico o, peggio ancora, qualche mafioso ci diano pane e lavoro. Mangeremo solo se non staremo ad attendere oziosi il lavoro che non c’è. Se è difficile trovare lavoro da soli, una via più percorribile sarebbe quella di mettersi insieme e creare alleanze lavorative attraverso la cooperazione. Per fare questo c’è un pesante macigno da superare: la mentalità individualistica tipica di noi gente del Sud che ci porta ad aspettare dagli altri la soluzione dei nostri problemi. Datevi piuttosto da fare. “Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”.
Dico ai parenti di quanti vivono la dura esperienza del carcere: la Chiesa è vicina a tutti i carcerati. Papa Francesco lo sta dimostrando con i fatti. Chi è in carcere ha sbagliato come può sbagliare ciascuno di noi. Nessuno davanti a Dio può considerarsi giusto. Eppure abbiamo la certezza di trovare il perdono! Dio perdona il peccatore che ritorna a Lui. Se ci sono stati degli errori, si può ricominciare. Ritrovate la forza di riprendere il cammino, rinnegando gli errori commessi. Questa certezza deve sostenere ciascuno di voi, in modo da non restare prigionieri del passato. “La storia passata, ricorda papa Francesco, anche se lo volessimo, non può essere riscritta”, ma “la storia che inizia oggi, e che guarda al futuro, è ancora tutta da scrivere, con la grazia di Dio e con la vostra personale responsabilità”. “Imparando dagli sbagli del passato, si può aprire un nuovo capitolo della vita. Non cadiamo nella tentazione di pensare di non poter essere perdonati. Qualunque cosa, piccola o grande, il cuore ci rimproveri, Dio è più grande del nostro cuore: dobbiamo solo affidarci alla sua misericordia”.
Africo può e deve rinascere. Questo avverrà se si lascerà dietro le spalle storie passate di misfatti e di vite spezzate, se si vincerà le tante paure che ci sono nelle vostre famiglie e nelle vostre case. E la paura rende schiavi, mentre siamo chiamati ad essere persone libere. Lo saremo se sapremo liberarci da ogni forma di paura, se sapremo alzare la voce contro ogni forma di prepotenza ed arroganza, se vinceremo le complicità ed il silenzio omertoso, se recupereremo la vera fraternità, quella che ci fa vedere nell’altro un fratello da amare, un amico da sostenere ed aiutare – se è il caso – anche ad uscire dai propri sbagli. E’ questa la via maestra per rialzarsi e risorgere. ‘Risorgere’ è la parola che ho voluto consegnarvi nella lettera che vi scritto in occasione della consegna alla parrocchia di un bene confiscato da parte del Comune. Abbiate per certo che la comunità risorge, se avrà la capacità di guardare in alto, se saprà perseverare nella fede in Dio e nei santi Patroni (San Leo, Santissimo Salvatore), se da questa fede saprà ricostruire relazioni fraterne nuove, basate sul rispetto, sulla giustizia e la carità, se saprà perdonare le offese ricevute. Papa Francesco invita al perdono: “dove alla violenza si risponde con il perdono, là anche il cuore di chi ha sbagliato può essere vinto dall’amore che sconfigge ogni forma di male. E così, tra le vittime e tra i colpevoli, Dio suscita autentici testimoni e operatori di misericordia”. Il rispetto dell’altro non porta mai alla complicità, al silenzio ed alla sottomissione per paura. Il giubileo della misericordia ricorda a tutti che è necessario il perdono per avviare percorsi nuovi di vita. Una comunità che ascolta la Parola di Dio è una comunità che fa del perdono il suo punto fermo.